Scoprendo il Web 2.0

Giornalisti senza un giornale

Posted in conoscenza, economia, politica, web2.0 by Giuseppe Futia on marzo 23, 2009

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Spesso sentiamo raccontare della crisi che investe con sempre maggiore intensità l’editoria tradizionale. Se da un lato infatti l’attenzione dei consumatori si sposta dalla carta al web, gli introiti  pubblicitari provenienti dall’online non sembrano essere in grado di fornire un modello di business sostenibile, come dimostrato anche da uno studio di Eric Clemons. Non dimentichiamo poi che anche i portali d’informazione dei maggiori quotidiani del nostro Paese, al fine di massimizzare gli accessi, propongono contenuti che tante volte collidono con uno spirito d’informazione di qualità. Anche e soprattutto perché il versante cartaceo di quegli stessi portali non si azzarderebbe mai a pubblicare, ad esempio, un determinato genere di foto o un certo tipo di notizie che sfociano molto spesso nella “cronacaccia” di bassa qualità (o più semplicemente nel genere porno).

Un’analisi più accurata, però, ci aiuta a comprendere come in realtà la crisi dell’editoria non sia legata all’esplosione di Internet, quanto invece alla generale avversione che le persone hanno maturato quotidianamente verso un’informazione che a sua volta si considera assurdamente elitaria, al di sopra della gente. Un’informazione che si dichiara con una buona dose di perbenismo  immune da qualsiasi influenza, soprattutto in un Paese come il nostro che ha una lunga storia di editori con interessi economici indirizzati altrove, che utilizzavano (e utilizzano) il proprio giornale come filtro di protezione della propria attività.

Con questo non voglio dire che in Italia sia totalmente assente un’informazione di qualità. Il problema riguarda il fatto che non riusciamo a vedere oltre il foglio di carta persone vicino a noi e alla nostra quotidianità (un concetto che viene espresso anche da Le Clèzio nel suo discorso di ringraziamento per il Nobel). Ecco perché uno degli ultimi post di De Biase mi ha stimolato alcune riflessioni. Riporto una parte del post:

“Varrebbe la pena di chiarire che si dovrebbe distinguere il destino dei giornali e quello dei giornalisti. È sbagliato definire i giornalisti come la categoria delle persone che scrivono i giornali (essendo i giornali tautologicamente quelle cose che sono scritte dai giornalisti…). E sebbene quella sia stata la definizione adottata dall’Ordine, non pare più molto azzeccata. Forse si potrebbe proporre l’idea di giornalisti come professionisti impegnati nella produzione di informazione per il pubblico con un metodo di ricerca empirico e trasparente (informazione, non comunicazione). In quel caso il loro destino non sarebbe necessariamente quello di seguire la sorte dei giornali. I giornali, invece, sono i prodotti di un’industria editoriale molto importante che a sua volta non vive solo del lavoro dei giornalisti, ma anche di quello delle concessionarie di pubblicità, di sostegno pubblico, di collaterali e altro.”

Forse nuove forme di comunicazione come i blog, badate bene non i network d’informazione ma i blog, rappresentano una realtà informativa dietro a cui, dopo tanto tempo, riconosciamo degli esseri umani. Esseri umani che hanno un proprio credo, che possono sbagliare, ma che proprio per questa coerenza e individualità ci ispirano fiducia e rispetto. E se mai l’editoria tradizionale sopravvivrà, come io personalmente credo, non dovrà più rappresentare un contenitore di notizie che oramai tutti possiamo reperire facilmente sul web, ma un vero e proprio strumento di approfondimento. Sarebbe suggestivo pensare a un giornale in cui le informazioni nascono con il contributo di tutti, anche della gente più semplice,  opportunamente rielaborate dai professionisti dell’informazione, per poter offrire qualcosa di nuovo che ci dia, naturalmente con il nostro contributo attivo, una visione del mondo che non possiamo raggiungere con i nostri occhi.

Current censurata

Posted in conoscenza, news, politica, web2.0 by Giuseppe Futia on febbraio 22, 2009

Dal blog di Current Tv si leva la protesta:

Ecco le immagini che l’ATAC, l’azienda trasporti pubblici di Roma, ha deciso di censurare. Le immagini sarebbero state affisse nelle stazioni della metropolitana della capitale (e non, come sostiene il presidente dell’ATAC, sugli autobus). Lasciamo a voi la valutazione del contenuto di questi manifesti. Ricordo che l’agenzia che ha creato i visual è cOOkies Adv, con sede a Milano.

Il manifesto con la bibbia pubblicizza la puntata del VANGUARD “I martiri della camorra”, in cui si racconta la storia di un sacerdote ucciso dalla camorra.

Io mi associo e pubblico.

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La fine degli archetipi

Posted in conoscenza, economia, politica by Giuseppe Futia on febbraio 8, 2009

Sparsi qua e là per la Rete, esistono molti aggregatori di news che si occupano di raccogliere in modo accurato articoli e notizie, amplificando la visibilità di quest’ultimi a favore di un pubblico molto più vasto.

Uno dei più interessanti è sicuramente Come Don Chisciotte: portale d’informazione gestito da volontari che setacciano la Rete alla ricerca di articoli ed approfondimenti che per la maggior parte dei casi rappresentano una voce d’informazione alternativa.

Non alla Beppe Grillo, colui che molto spesso impersonifichiamo come la vera e propria forma concreta di controinfromazione. Forse Grillo risponde maggiormente alle esigenze di una gioventù indignata, nata e cresciuta in Rete; una generazione che troppo spesso però si alimenta di luoghi comuni, fomentata dalla disillusione verso una classe politica che pare lontana anni luce.

Ma lo fa in modo troppo sbrigativo e diretto e, a parer mio, non contribuisce ad un crescita culturale determinata da una consapevolezza costruita auton0mamente, con le proprie forze. È probabile che questo non sia il suo compito, ma se devo individuare un punto debole, lo identifico in questo. Che poi, quello culturale, è un problema che affligge l’intera umanità (sottomessa), perciò non possiamo attribuire colpe, meriti, prerogative e mancanze ad un unico uomo.

Mi sono perso. Cosa che a uno che scrive non dovrebbe mai accadere, ma stavolta me lo concedo. Comunque, ritornando a quanto accennato prima di questa breve parentesi, il problema di  Come Don Chisciotte è che troppo spesso gli articoli che raccoglie sono molto lunghi e di complessa digeribilità (soprattutto per quelli che come sono la massima espressione della generazione cresciuta in Rete, scarsamente propensa a un approfondimento approfondito). Però, questi articoli possono tornare molto utili nei giorni come la domenica, che io amo definire “giorni da editoriale”, in cui la mente lavora a mezzo regime, ma è molto più capace di “ascoltare”.

Ecco perché voglio dedicare spazio a un articolo che ho trovato davvero stupendo, in cui le cause della crisi, ma soprattutto la mancanza di strumenti per reagire ad essa in modo deciso, sono attribuibili a una progressiva perdita di cultura, che si è concretizzata nella progressiva perdita da parte dell’umanità di modelli di base, gli archetipi per l’appunto. Archetipi che, pur essendo state figure controverse e talvolta derise  (cito testualmente: “Il funzionario austro-ungarico è ricordato per antonomasia come l’archetipo fondante dell’integerrimo impero multietnico, e fu bersaglio dell’ironia risorgimentale italiana.”), oggi sono le cose che più ci mancano per poter offrire un’alternativa densa di valori e significati. Riporto alcuni pezzi che mi hanno colpito (la versione integrale dell’articolo la potete trovare qui e qui):

[…]La perdita degli archetipi non può essere sottovalutata, soprattutto da coloro i quali addossano tutte le responsabilità dell’attuale crisi (che è una crisi di civiltà, non di società) a semplici fattori economici. Se così fosse, sorgerebbero – potenti – dal corpo sociale precise ed organiche richieste di cambiamento, e sarebbero dinamiche positive ed inarrestabili, nonostante la censura mediatica.
Invece, le proposte sono frammentarie e sconclusionate: e, questo, avviene da parte di chi le propone, ma anche dalla confusione di chi ascolta e, a sua volta, ripropone “aggiustamenti” con un semplice meccanismo di scelta multipla, quasi si trattasse di un test. Insomma, “quoto” e “non quoto”, e finisce lì.[…]

[…]Poiché, nel frattempo, sono stati frantumati – sono stati proprio spezzati gli stampi – gli archetipi fondanti dell’ordinamento sociale. Non si tratta di semplici defaillance del modello: esso, è proprio tramontato.
Il funzionario austro-ungarico è ricordato per antonomasia come l’archetipo fondante dell’integerrimo impero multietnico, e fu bersaglio dell’ironia risorgimentale italiana. Raffigurato come un codino e sparagnino esecutore del potere asburgico, in realtà era una figura forte, che avvertiva l’importanza della sua funzione. A sua volta, la burocrazia imperiale riconosceva ampiamente e sotto molti aspetti (economici, normativi, ecc) l’importanza dei funzionari, come insostituibili “tasselli” della costruzione imperiale. Dunque, come i Mandarini cinesi, il funzionario asburgico rappresenta in qualche modo un archetipo.

L’insegnamento fu, per molto tempo, considerato quasi una “missione”, al pari del medico, e non un semplice “mestiere”. Quasi un’arte.
C’era, da parte dello Stato, il riconoscimento di questa figura mediante un trattamento economico e normativo che la favoriva, che le riconosceva l’importanza del suo agire.
Con questo, non si vuol affermare che non siano esistiti pessimi insegnanti (probabilmente esistettero anche in passato, ma solo le “vette” sono ricordate), ma che l’archetipo dell’insegnante era, almeno, preservato. Oggi, gli insegnanti ricevono gli adeguamenti salariali sulla base della tabella “operai-impiegati-insegnanti”: il che, la dice lunga sul loro prestigio sociale. Vengono mantenuti in servizio fino a 65 anni, poiché nessuno prende mai in considerazione le difficoltà – oggettive – che esistono nel dialogo fra le generazioni. Perché non fanno cantare i tenori o le soprano fino a 65 anni? Poiché i risultati sarebbero deludenti ed acclarati, mentre fra le mura delle scuole non si sa cosa avviene. In ogni modo, l’archetipo è oramai frantumato.

Ho assistito, casualmente, alla distruzione di un archetipo.
Il ferroviere era anch’esso figura archetipa: era colui al quale ci s’affidava per giungere a destinazione.
Chiedendo lumi sulla soppressione di un treno, dovetti assistere ad una scena che mi fece stringere il cuore:
«Un tempo – raccontava il capostazione – per sopprimere un treno ci dovevano essere validissime ed insuperabili motivazioni. Oggi, basta che manchi una persona in più nell’organico e sopprimono. Guardi – continuava – fra due anni andrò in pensione e non vedo l’ora: questo non è più lavorare, questo è diventato un inferno, oppure una barzelletta». Ciò che narrava, non era la débacle delle Ferrovie Italiane, era la frantumazione – che percepiva soffrendo – della sua dignità di lavoratore: era il suo archetipo che andava in pezzi.

L’archetipo del funzionario onesto e capace – il quale tenterà magari di riattare l’esistente, cercando le soluzioni meno onerose – quello dell’insegnate che cercherà di forgiare spiriti liberi, critici e responsabili, e quello del ferroviere che avrà come primo obiettivo far in modo che i viaggiatori trovino i treni ad attenderli, sono vere e proprie iatture per il “mercatismo”. Poiché non riconoscono il vuoto, inesistente, falso modello del banchiere contemporaneo, espropriato anch’esso del suo archetipo – ossia del banchiere che non fornisce più denaro per catalizzare la creazione di beni, bensì s’adopera solamente ad inventare truffe destinate ad incrementare una massa monetaria fittizia e truffaldina – come il deus ex machina al quale tutto deve sottostare.
Gli archetipi originari, entrano in collisione con queste “raffigurazioni” imposte dal circuito mediatico, ed assorbite – purtroppo, la popolazione non ha scampo! – a largo spettro: vengono, inesorabilmente, distrutti.

In questo scenario, una manciata di “studiosi” cerca almeno di dipingere l’esistente – non può avere, oggi, i mezzi per soluzioni salvifiche! Solo qualche accenno! – e si trova esposta alla critica di critici che hanno smarrito, a loro volta, “l’archetipo” del critico. Altro che “quoto” e “non quoto”: provare per credere.

Election night, siti d’informazione presi d’assalto

Posted in infografica, politica by Giuseppe Futia on novembre 5, 2008

Nella notte delle elezioni americane tutti quanti erano incollati di fronte allo schermo. Non solo a quelli della tv, ma anche e soprattutto a quelli del computer. Secondo Akamai, che fornisce l’infrastruttura di rete ai più importanti siti internet di news del mondo tra i quali CNN (che durante l’election day ha raggiunto il proprio record day con 27 milioni di utenti unici e 276 milioni di pagine viste), BBC, NBC, Reuters, il numero di visitatori globali alle pagine web dei più importanti siti d’informazione del mondo ha raggiunto il proprio picco attorno alle 23 della scorsa notte (ora americana), con 8,572,042 visitatori al minuto.

Per farsi un’idea generale, questo valore corrisponde al doppio del normale traffico web verso i siti web d’informazione, il 18% in più del picco corrispondente a 7.3 milioni di visitatori raggiunti durante la finale (a noi tanto cara) dei mondiali del 2006 (il terzo più grande risultato si è raggiunto il marzo scorso durante la prima giornata degli U.S. college basketbal playoff, quando si sono toccati 7 milioni di utenti al minuto).

C’è da chidersi qual sarà l’evento che, prima o poi, spodesterà dal primo gradino del podio la grande notte delle elezioni americane. E intanto, per coloro che avessero tempo da perdere, è possibile monitorare ogni cinque minuti il traffico relativo al numero dei visitatori appartenenti ai cinque continenti che si connettono verso siti d’informazione. Ripeto, per chi ha tempo da perdere.

via Techcrunch

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Mi sovviene un sorriso

Posted in conoscenza, politica by Giuseppe Futia on novembre 3, 2008

Mi sovviene un sorriso perché costui stanotte se la giocherà per il ruolo di prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. E le cose che racconta qui da noi sarebbero le parole di uno che in molti, almeno ai piani alti, considererebbero un pazzo visionario. D’altronde in Italia si taglia a destra e manca su scuola e università (e Luca Ricolfi suggerisce che l’attuale “congelamento” della riforma apporterà ancora più disastri); non vorrai mai che riusciamo a fare qualcosa di buono.

Cambiando un attimo discorso, per quello che può valere, in bocca al lupo.

via TechCrunch

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Se la crisi economica può essere il punto di partenza

Posted in conoscenza, economia, politica by Giuseppe Futia on ottobre 28, 2008

Credo sia ormai fondamentale interrogarsi sul profondo legame che intercorre tra la crisi economica, frutto della degenerazione di un sistema “abbandonato”, se così si può dire, a una totale libertà d’azione, e le diseguaglienze sociali che, come sottolineato da Marco Deaglio, sono cresciute sensibilmente negli ultimi quindici anni.

Ma per comprendere a pieno la natura di questo legame è necessario soffermarsi per un attimo a monte del problema. Per quali motivi la discrepenza tra le classi più ricche e quelle più povere è cresciuta a tal punto, nonostante la base strutturale fosse caratterizzata, almeno fino alla recente crisi, da uno scenario di crescita economica a livello globale? Ebbene, lo stesso Deaglio fornisce due spiegazioni che condivido completamente:

  • il primo motivo che ha contribuito a tollerare, se non addirittura favorire, la diseguaglianza dei redditi è rappresentato dalla profonda convinzione nel pensiero liberista classico, secondo cui lo spirito vitale e la capacità imprenditoriale delle classi più abbienti avrebbero trainato l’intera economia, apportando benessere anche agli strati più deboli della società. Questo nugolo di scalpitanti individui avrebbe dovuto agire indisturbato senza alcun tipo di restrizione, anche e soprattutto contro una società di matrice socialdemocratica che, facendo dell’ampio sarcasmo, oltre ad appiattire i redditi addormenta anche e soprattutto gli animi;
  • il secondo motivo, orientato a riscuotere consenso soprattutto all’interno delle classi più vulnerabili del sistema è rappresentato dalla cosiddetta mobilità sociale. In una società in cui le barriere di protezione e le politiche di sostegno sono minime, l’ambita posta del riscatto sociale diviene un sogno (americano) palpabile e concreto. O almeno così dovrebbe essere.

Ma come sapientemente illustra Deaglio, e qui gli cedo la parola, le cose non sono andate affatto come si era sperato (o arrogantemente sostenuto):

L’esperienza di questi anni non ha dimostrato la validità di questi motivi in favore della disuguaglianza. Lo spirito di iniziativa dei ceti dotati di redditi più elevati non è stato certo eccezionale, in molti Paesi, tra cui l’Italia, la crescita è stata scarsa o quasi nulla, e, se si eccettua un numero limitato di casi, non vi è stato un aumento del benessere collettivo. […] In Italia, i maggiori redditi sono stati dovuti soprattutto a rendite di posizione, ad attività finanziarie con scarsi agganci con il meccanismo generale dell’economia e non a profitti sudati in mercati concorrenziali, a grandi investimenti e innovazioni. La mobilità sociale è stata frenata dal forte potere delle corporazioni: per mettersi in proprio in quasi ogni attività c’è bisogno di un «patentino», di un «esame di abilitazione».

Ma forse questa crisi potrebbe rappresentare un punto di rottura rispetto alle storture del sistema così come è stato fin ora concepito. Potrebbe rappresentare l’occasione di una vera e propria svolta in cui risulta essenziale detassare e sostenere i redditi medio bassi, anziché quelli alti provocando ulteriori distorsioni, e ottenere in tal senso 2 benefici sostanziali: sostenere il livello dei consumi, tenendo lontana la recessione, e diminuire il rischio di spaccatura sociale.

E inoltre, con uno squarcio di “spirito militante”, potremmo non farci prendere dal panico dell’orfano “teorizzato da Gramellini”, guardando a questa crisi con occhi pieni di speranza:

Senza ringhiera, l’orfano si scopre solo. Un fuscello nella tempesta. Può farsi prendere dal panico, ubriacarsi, impazzire. Oppure può prendersi la responsabilità della propria vita, non delegandola più agli altri. Allora ricorderà che la parola crisi ha assunto un significato terribile soltanto nei tempi moderni, perché in quelli antichi si traduceva con «opportunità». E ricorderà anche che nel linguaggio delle sceneggiature la crisi è il momento della storia in cui il protagonista prende la decisione culminante, quella da cui emergerà la sua vera indole. Insomma, la crisi può essere un castigo o un’occasione. Dipende solo da noi, gli orfani, se alla fine riusciremo a ritrovarci persino migliori.

Immagine tratta da: Afraid Blog

Chi sarà il Chief Technology Officer di Obama?

Posted in news, politica by Giuseppe Futia on ottobre 21, 2008

via Wired Top Stories

Solamente ieri Eric Schmidt, numero uno di Google, ha dichiarato il proprio sostegno a Barack Obama per la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Fino ad ora il sostegno era avvenuto per così dire da dietro le quinte, mentre martedì scorso Schmidt ha preso una posizione molto netta.

E in effetti tutto il lavoro attuato per la campagna di Obama potrebbe portare al ceo di Google molti benefici personali (e istituzionali). Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Schmidt potrebbe ottenere il ruolo di Chief Technology Officer dello Stato, una posizione che Barack ha promesso di attivare se sarà eletto, guarda un po’, proprio il giorno prima di recarsi personalmente negli uffici di Google.

Diciamo che Schimdt potrebbe trarre dei vantaggi interessanti, specialmente alla luce degli interessi di Google a Washington. E intanto su Wired impazzano tutti i possibili candidati, proposti dalla redazione e dai lettori, per il prossimo CTO degli Stati Uniti d’America.

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Guardando il…politicando

Posted in politica by Giuseppe Futia on dicembre 26, 2007

Vorrei proporre, nonostante esuli dagli obiettivi di questo blog, l’intercettezione tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi presente sul sito dell’Espresso.

Non vorrei soffermarmi, però, sulle questioni inerenti a questo video. Credo che in effetti si spieghi da solo.
Vorrei però pubblicare a seguito le dichiarazioni, comparse su Repubblica, di Bertinotti e Mastella riguardo a questa vicenda.

Le critiche di Bertinotti. Da una parte critica la pubblicazione delle intercettazioni. “Che – dice il presidente della Camera – sono tutte cattive e che non devono essere usate per scopi politici”. Dall’altra ammette, però, che lo scenario che emerge dalla telefonata Berlusconi-Saccà, serve come utile “indicatore del costume di un paese” e come segnalatore di un “degrado del sistema”. Invocando una riforma del servizio pubblico “non più rinviabile”.

Mastella: “Serve una legge”. Il Guardasigilli Clemente Mastella, invece, torna sull’uso delle intercettazioni. Ipotizzando un giro di vite sulla loro diffusione: “Serve una legge che ne regolamenti l’uso e che rispetti la privacy dei cittadini”.

Forse entrambi non hanno sentito l’intercettazione, e quel che in essa si diceva. O forse l’hanno sentita troppo bene.